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Il ruolo fondamentale della
Real Casa Savoia
nell'evoluzione dell'arte
carrozziera italiana:
dalla carrozza all'automobile
Il patrimonio della carrozza.
Alle soglie del terzo millennio in momenti di crisi economica a livello mondiale, voler parlare di riqualificare il patrimonio di attacchi d’epoca presente sul nostro territorio può sembrare un progetto inaffrontabile e utopistico. Tuttavia è doveroso fare alcune considerazioni ed andare a ritroso nel tempo per cercare di conoscere la storia dell’evoluzione che ci ha portato passo dopo passo nell’era dell’alta velocità di auto, treni e aerei superveloci, con la comunicazione informatica dove tutto viaggia sulla rete in mega byte con innovazioni tecniche che si susseguono a ritmo vertiginoso è doveroso ricordarci che in principio:
"era la carrozza, la trainava il cavallo"
attorno ad essa si era costituito un universo di attività produttive formato da mastri falegnami, fabbri, carradori, carrozzai, sellai, intarsiatori; progenitori della rivoluzione industriale del trasporto maturata poco a poco sino a trasformarsi in un vero e proprio boom economico che ci ha portato alla realtà attuale dei nostri giorni.
L’inizio della trasformazione.
Un ruolo determinante che diede inizio a questa trasformazione fu dato dalla dinastia dei Savoia, la decisione di Emanuele Filiberto di trasferire la capitale nell’anno 1563 da Chambery (Francia) a Torino fu un punto di svolta fondamentale. Con la pace di Aquisgrana (1748) il Piemonte è il perno di uno Stato a cavallo delle Alpi, forte e rispettato, passata la bufera napoleonica, sarà il solo Stato Italiano a rispondere alle istanze per l’unità d’Italia. Le vicende politiche del Piemonte Sabaudo avevano comportato, con l’insediamento della Corte Reale a Torino, l’avvio d’innumerevoli attività legate alla crescita della città, della sua società e in particolare della famiglia regnante. Torino acquista uno stile, un fascino e un’eleganza particolari che da secoli rappresentano uno dei suoi tratti distintivi. Numerosi gli ampliamenti promossi dai Savoia, le strutture e le scelte per elevare la città al nuovo rango di capitale che la porteranno a ben figurare nel contesto europeo. Centro economico, di produzione e di scambi, qui nascono le prime industrie manifatturiere e si sviluppa in particolare anche la nobile arte del "carrozzaio" con tutte le attività inerenti a essa correlate.
L’etichetta di corte richiede carrozze sempre più imponenti ad esaltare la magnificenza dei sovrani. I mastri carrozzai fanno a gara a progettare e costruire carrozze sempre più moderne e funzionali destinate alla corte ma anche per tutti quegli usi che necessitano in un regno in crescita che tende a raggruppare tutto il territorio italiano sotto un'unica corona, quella dei Savoia.
Tra i suoi artefici, vi è il celebre disegnatore Giacomo Pregliasco (architetto, scenografo e disegnatore di carrozze per la corte) e il fabbricante di carrozze Amedeo Demonte, fornitore della Real Casa. Essi realizzano splendide carrozze in grado di rievocare per il lusso delle decorazioni i tempi passati, quelli in cui Vittorio Amedeo II compariva in una vettura disegnata da Filippo Juvarra, mentre Carlo Emanuele III sfoggiava un berlingotto di gran gala firmato da Benedetto Alfieri. A Giacomo Pregliasco e Amedeo Demonte è attribuita in particolare la celebre carrozza detta (dalle pitture dei pannelli) del Telemaco, considerata una delle più belle di tutti i tempi.
Costruita nel 1817 per le nozze di Carlo Alberto, servì pure per il matrimonio del figlio Vittorio Emanuele con la Principessa Maria Adelaide d’Austria nel 1842. Restaurata e ammodernata, fu impiegata nel 1868 per le nozze del futuro re Umberto I. Degli stessi autori si ricorda a Torino la carrozza di stile egizeo detta l’Egiziana fabbricata nel 1819 su commissione del Duca Carlo Felice per darla in dono alla fedele moglie Maria Cristina di Borbone, duchessa del Genevese. Il dono è una stupenda ed eccentrica berlina di gran gala di color avorio ornata con decorazioni e iconografie tratte da un immaginario repertorio egiziano.
In Torino la costruzione di carrozze vi aveva trovato progressivo alimento e sviluppo. In vicolo S. Maria n°7 una lapide ricorda la Società dei Mastri stipettai ( mastro artigiano che produce manufatti in legno con intarsi) e fabbricanti di carrozze, ivi fondata nel 1636. La sola officina governativa di Borgo Dora fabbricava intorno al 1860 da 600 a 800 carrozze l’anno e 180 ruote la settimana. Anche la provincia è partecipe, dalla Valle d’Aosta al Canavese, al Cuneese si riscontrano lavorazioni ben radicate; da ricordare l’industria nella città di Savigliano incontrastabilmente superiore a quella di altri centri di provincia, in particolare la fabbrica del Signor Giacomo Alessio; la manifattura si distingue per le notevoli dimensioni e per le "ingegnose macchine" utilizzate per la costruzione di " legni da tiro di ogni genere, e specialmente berline, berlingotti, calessi, e cosi detti chars, birocci coperti e discoperti, ecc.
Un documento dell’Archivio Storico del comune di Savigliano, datato 1830, fornisce una serie di ragguagli intorno all’impianto dell’Alessio. L’azienda conta reparti distinti di falegnameria, selleria, verniciatura, passamaneria e l’officina da "magnano" (fabbro), ove si utilizzano ferro, legno, corame, lana, tela, ottone, vernici e argento. Le vetture si fabbricano a "capriccio"; ovvero se fatte ad uso da viaggio si impegna maggior ferro ed anche maggior bosco perché resistano; all’invece quando soltanto di parata vogliono essere leggere e per conseguenza fornite quanto è meno possibile del ferro. Tra la mano d’opera vi sono due lavoranti "da gabbie", due da "barre", quattro fabbricanti di molle, quattro "limadori", sette lavoranti, quattro sellai, cinque verniciatori, tre "pattinatori".
La Torino dei Savoia è un centro culturale ricco di fermenti, attira le intelligenze da tutta Europa impersona gli ideali di progresso della "Belle Epoque", vi sono documenti e scritti che li rievocano e che sanno restituire il profumo dell’epoca. Spiccano quelli del conte Carlo Biscaretti di Ruffia, che della Torino di allora resta insuperato testimone e storico che ci ha lasciato questa testimonianza:
"All’angolo di Corso Vittorio Emanuele con via Urbano Rattazzi vi è in quegli ani il Caffè Burello, detto la "pantalera" per una lunga tettoia in legno che in tempi più antichi correva sulla facciata lungo il corso a protezione degli avventori. Si distingue in quanto punto di passaggio dei viaggiatori in arrivo e partenza da Porta Nuova ma anche per essere il centro del commercio di cavalli e di carrozze della città. Al Caffè Burello vengono nobili e borghesi. Scrive Carlo Biscaretti: "Sui vecchi divani di velluto rosso stinto si discute animatamente di sport, di corse, di allevamenti, di puledri, di stalloni, di fattrici, mentre charrette e landaus, mail-
Informazioni tratte da: Storia della carrozzeria in Pimonte – Dal disegno al design-