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"Razze d’Italia"
G. C. Volpini
Senza dilungarmi a ricordare le vicissitudini per le quali passò la produzione equina in Italia, basterà notare come già fin dal tempo degli antichi Romani, grandissimo fosse il numero dei cavalli che si producevano nelle varie provincie, e tutti di merito generalmente riconosciuto. La Puglia sola, fu già tanto ricca di cavalli che, a dir di Tito Livio, essendo i Cartaginesi andati in quella regione a farvi bottino, ne condussero via tal copia, che Annibale fattane una scelta di 4 mila, li diede ai suoi cavalieri perché li addestrassero.
Famose erano le candide puledre della Campania, serbate ai trionfi dei consoli in Campidoglio. Nell’età di mezzo poi alcune provincie andavano specialmente rinomate per l’eccellenza dei loro stalloni come riproduttori, vivamente ricercati da tutte le nazioni europee.
Sceltissimi cavalli ferraresi vennero spediti in dono a Federico III di Germania e sì distinte erano, intorno al 1484 le razze appartenenti a Francesco Gonzaga di Mantova, da gareggiare in bellezza e velocità con quelle dei Turchi. Egli mandò in dono ad Enrico VIII d’Inghilterra varie giumente della sua razza, ed uno stallone venuto in tanta celebrità che gli fu offerta una somma in argento pari al peso del cavallo; somma che il Marchese Francesco rifiutò, preferendo farne regalo ad Enrico VIII.
Una prova che nel medioevo le razze italiane producevano stupendi cavalli per forme e qualità, ce la forniscono l’Alemanni (1495) e l’Ariosto (1474). Se essi non avessero avuto sotto gli occhi modelli originali vivi, se non avessero avuto pratica e passione per la nobilissima arte dell’equitazione, né il primo avrebbe potuto lasciarci una così bella descrizione poetica del cavallo e delle forme e qualità per le quali deve andare distinto, né il secondo, per quanto di fervida immaginazione, avrebbe avuto gli elementi necessari per dipingerci, con tanta esattezza, le più minute caratteristiche dei movimenti di quei tre famosi destrieri: Baiardo, Brigliadoro e Frontino.
Molto conosciute in passato erano:
La razza Cremonese che dava grossi cavalli da tiro, però un po’ linfatici e soggetti alla luna.
La razza Mantovana, non di tipo uniforme, ma che produceva ottimi cavalli da sella, fra i quali primeggiavano quelli dei Gonzaga.
La razza Friulana, tanto rinomata per i suoi cavalli di piccola statura, di mantello grigio, eccellenti trottatori.
La razza Ferrarese e quella del Polesine che fornivano buoni cavalli da sella e da tiro rapido, robusti, di belle forme, molto ricercati gli ultimi specialmente, dagli stranieri quali riproduttori.
Le razze della Maremma, famose per la resistenza alla fatica dei loro prodotti bradi.
Le razze Toscane create dai Granduchi e da non pochi privati, di forme pompose, di andature rilevate, ma poco celeri, molto robusti, resistenti alle intemperie, sobrii.
Le razza Romane, molto numerose, tutte allevate con sistema brado, e che davano carrozzieri di buona taglia, morelli dalla testa montonile, dalla groppa un po’ cadente, ma di resistenza grandissima alle fatiche, agli strapazzi, alle intemperie, e molto ricercati fino dal 1500 dalle principali Corti europee.
Le razze Napoletane, specialmente dovute alle cure dei Re di Napoli, e che producevano stalloni ricercatissimi da tutte le altre nazioni per ogni genere di servizio. Carlo V a quanto narra, non si serviva di cavalli napoletani. Come già si è detto, stalloni napoletani concorsero a formare la razza Trakennen, la Mezohégyez, le razze inglesi e russe. Il Baretti nella sua opera intitolata: Gli Italiani, stampato nel 1700 e che fu tradotta in inglese, dopo aver parlato dei cavalli esistenti a quell’epoca nelle varie parti d’Italia scrisse: “Ma il regno di Napoli è il paese che sorpassa a questo riguardo tutte le altri parti d’Italia. I cavalli vi sono forti, ben fatti, fieri, pieni di fuoco e di statura grande. Io ho veduto nelle scuderie del Re a Versailles molte mute di cavalli napoletani, che non sono inferiori a quelli che si comprano per quel monarca nell’Holstein, in Danimarca ed anche nella Spagna.
Ma ho pure veduta un’altra muta in Madrid, fatta venire da quel Re di Napoli, ove egli aveva da lungo tempo regnato, quella coppia quando veniva esposta al sole pareva fosse indorata, ed era invero la più bella ch’io vedessi mai. Io ho udito da molti viaggiatori parlare con vera enfasi del gran numero, come pure della meravigliosa bellezza dei cavalli che vedonsi a Napoli, e tutte le relazioni sembrano convenire che quel regno è uno dei più rimarcabili paesi d’Europa a questo riguardo”.
Venendo a tempi a noi più vicini, ricorderò come la miglior cavalleria di Napoleone I fosse montata con cavalli napoletani. Pure molto considerati erano i cavalli siciliani, discendenti da stipite barbaresco incrociato coll’andaluso, importatovi dalla dominazione spagnuola; ed infine vanno ricordati i piccoli cavalli sardi, tanto in voga fin dal tempo in cui Filippo II di Spagna, vi introdusse i migliori stalloni dell’Andalusia, e tanto apprezzati per la grande sicurezza del piede, non che per la loro vivacità e robustezza.
Le provincie subalpine nel 1800 ed anche prima erano fornite di cavalli robusti, vigorosi e non privi di una certa eleganza, sia da tiro che da sella. Questi prodotti erano dovuti alla munificenza della Casa di Savoia, la quale aveva riunito nella mandria di Chivasso alcuni rari tipi di razze limosina, normanna, romana e napoletana. Più tardi si impiantò una razza alla Venaria introducendovi rinomati stalloni arabi, persiani spagnuoli, ecc.
Grazie a questi preziosi elementi di riproduzione non mancarono alcuni distinti prodotti, ma giammai si poté fondare in Piemonte una vera razza.