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O' cucchiere -
FRANCESCO DE BOURCARD
“A tavola d”o cucchiere, nu pirito, nu rutto e
nu chitemmuorto”.
Or se i primi a godere del piacere di andare in carrozza furono Imperatori, Re e Principi di altissimo lignaggio, è mestieri convenire che nobilissima fin dal suo nascere sia stata l’arte del cocchiere; tanto maggiormente che anche a’nostri giorni Sovrani, Regine, Dame e nobilissimi signori anzi che tenerla in ispregio, amano guidare a lora posta i cavalli delle carrozze e prendere non poco piacere da questo esercizio cavalleresco.
Dal che si può argomentare che i primi cocchieri dovettero essere persone distinte e di rango, poiché ad essi era affidata la vita di un Monarca, di un Cavaliere o di una illustre Principessa; e che poi, a mano a mano aumentate le carrozze, i loro conduttori dovettero se non altro, essere almeno scelti fra persone di nota probità.
Ma la sterminata quantità di carrozze che ora sono uscite ànno siffattamente avvilita quest’arte, che, dovendo ciascuna di esse avere un conduttore, ne ànno fatto un mestiere, ed ogni mozzo di stalla, ogni mulattiere, ogni vagabondo si pone a fare il cocchiere: ed in siffatto modo essa è caduta in disprezzo quando che prima era nobilissima. Però l’infinita moltitudine che vi à di cocchieri li fa tenere in quel sinistro concetto che di loro oggi si forma; e basta dire esser cocchiere, che viene tosto tenuto per canaglia, persona piena di vizi, ceto di mala fede o peggio.
Pur nulla di meno i cocchieri napoletani, fin dai tempi antichi, sono celebrati come valentissimi in quest’arte ed il Celano, da cui ò tolta l’epigrafe di questo soggetto, fa rimontare questo nostro privilegio fin da’ tempi più remoti, dicendo: “ che fosse stato antichissimo genio dei napolitani il domar cavalli; e che perciò a Nettuno avessero dedicato un tempio, come primo domator di quelli. Ed in altro luogo aggiunse vedersi ancora per antica arma della nostra città un cavallo senza freno; e credo che l’alzassero o per nettuno o per Castore e Polluce, che adoravano, essendo che questi erano stati domatori di cavalli”. (il tempio di Castore e Polluce anticamente esisteva ove ora si trova la chiesa di S. Paolo)
Ma lasciando stare agli archeologi ed agli antiquari il merito di definire gli astrusi misteri di tempi remotissimi, è indubiato che i nostri cocchieri, sia perché da fanciulli si mettono a guidare i cavalli delle carrozze, sia per la pratica che tuttodì ànno di condurre le carrozze per la popolosa Napoli e per strette ed affollate vie, o sia per la prespicacia dell’ingegno che naturalmente essi tengono da questo nostro salubre e delizioso clima, portano su tutti quelli di qualunque nazione il vanto di sapere con arte finissima, con la più perfetta perizia e con una destrezza inarrivabile domare i cavalli e guidarli sotto le carrozze.
Infatti la perizia del cocchiere napolitano va tant’oltre che egli vi saprà dire francamente che il cavallo nato nelle Puglie è più spiritoso di quello nato negli Abruzzi; questo più forte del Calabrese ed il Calabrese più resistente di qualunque altro alla corsa; e vi sa egli a mano a mano e con un ben fondato raziocinio svelare le proprietà, i pregi e i difetti di ogni razza e di ogni cavallo. Gli basta una volta sola porre sotto il carrettone il cavallo per dirvi se sia restio o no nel dare indietro; se si debba prendere con l’aspro o col dolce, con le battiture o con le carezze, col freno tirato o molle, se il morso debba essere più o meno aspro; ed a questo modo in pochi giorni riducono gradevole e fastoso il più indomito cavallo.
Un cocchiere, con una mano sola al timone della carrozza, è capace di rigirarla tanto fino a che la situa dentro un’angusta rimessa. Egli è come un’anguilla, esce con tanta facilità, con tanta maestria e con tale una destrezza da mezzo ad un labirinto di carrozze, che pare come se avesse già prese tutte le misure de’ tortuosi giri che deve fare, e sa districarsi di là senza che la sua carrozza o quella d’altri ne senta il più lieve urto. Quindi il nosrto cocchiere è sovente lo scopo di maraviglia degli stranieri che vengono in Napoli; ed in effetti è cosa da stupire come in una città sì affollata di gente, di carrozze ed in mezzo a tante grida, a tanti incontri ed a tanto chiasso, la mente del cocchiere non vacilli, non si fracassino centinaia di carrozze al giorno e non succeda una disgrazia di sorta o assai di rado e forse per colpa di chi cammina a piedi per le strade che per distrazione del cocchiere.
Ond’è che però molto difficile si rende in Napoli l’arte di ben guidare le carrozze; e che sia solo vanto de’ cocchieri napolitani il possederla a perfezione. Da ciò deriva al certo che quando tuttodì vediamo venire stranieri di ogni sorta per qui stabilirsi ed aprir bottega di qualunque genere, non si è mai visto che sia giunto un cocchiere straniero e che abbia saputo vincere in merito, in perizia ed in destrezza il napolitano. Dal cocchiere aristocratico fino a quello del calesso, vi è tale una gradazione discendente che non può certamente passare inosservata. E però dopo aver parlato delle carrozze e de’ cocchieri in generale, ora vengo a’ particolari.