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25/03/2024
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Carnovale

Finimenti

Alè turna carlevè!!

Facciamo un pò di chiarezza sui finimenti dello Storico Carnevale di Ivrea

"Il Carnevale di Ivrea è il più antico Carnevale Storico d’Italia. La Zappata e l’abbruciamento degli Scarli di origine medioevale sono stati tramandati oralmente fino al 1808, anno in cui appare la prima trascrizione di una cerimonia ne "I Libri dei Processi Verbali a futura memoria". — Il Carnevale è un evento unico in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita a una grande festa civica popolare dal forte valore simbolico".


L’aspetto più folcloristico per il quale è conosciuto è certamente la “Battaglia delle arance” che costituisce l’elemento più spettacolare per i visitatori, sebbene Il getto delle arance affonda le sue radici intorno alla metà dell’Ottocento. Riportiamo un’esposizione tratta da: Lo storico carnevale di Ivrea.

La leggenda vuole che il Marchese di Monferrato che affamava la Città intorno all’anno 1200 venne scacciato grazie alla ribellione della figlia di un mugnaio (Violetta) che, promessa sposa (a Toniotto), non volle sottostare allo jus primae noctis imposto dal tiranno a tutte le spose. Salita al castello lo decapitò ed accese la rivolta popolare che si concluse con la distruzione dell’edificio, che non fu mai più ricostruito, e con l’istituzione del libero Comune. La Battaglia delle arance rievoca questa ribellione: il popolo, rappresentato dalle nove squadre degli aranceri a piedi, senza nessuna protezione combatte a colpi di arance contro le armate del Feudatario, rappresentate dai tiratori sui carri trainati da cavalli, che indossano protezioni e maschere che ricordano le antiche armature. Nel Medioevo, erano i fagioli i protagonisti della battaglia. Si narra infatti che due volte all’anno il feudatario donasse una pignatta di fagioli alle famiglie povere e queste, per disprezzo, gettassero i fagioli per le strade. Gli stessi legumi nel XIX secolo erano anche utilizzati in tempo di carnevale, in scherzose schermaglie tra le carrozze e la gente sui balconi, a ridosso delle principali vie storiche di Ivrea, proprio in scherno alla ridicola elemosina di fagioli che avanzavano durante le grasse fagiolate dei ricchi durante il Medioevo. Nel periodo compreso tra gli anni Trenta e Sessanta dell’Ottocento nasce un gioco cortese, quasi cavalleresco: un "getto" che le giovani fanciulle borghesi di Ivrea presero l’abitudine di effettuare, dai balconi delle loro abitazioni, negli ultimi giorni del Carnevale. «Innocenti proiettili» per usare le parole delle cronache giornalistiche di metà Ottocento, «che dalle case piovevano sui passeggianti, e con cui da questi per gentil rappresaglia si faceva grazioso assalto alle vispe ed avvenenti provocatrici». Insieme a coriandoli, confetti, lupini e fiori, le ragazze lanciavano dai balconi, mirando le carrozze del corteo carnevalesco, qualche arancia un "aristocratico" frutto esotico proveniente dalla Costa Azzurra. I destinatari erano giovincelli dai quali le stesse ragazze volevano essere notate. Dalle carrozze si iniziò a rispondere scherzosamente a tono e, poco a poco, il gesto di omaggio si trasformò in duello, un vero e proprio combattimento testa a testa tra lanciatori dai balconi e lanciatori di strada.


Le arance — Nell’800, quando la festa aveva una configurazione più borghese, le arance - un frutto esotico non comune ad Ivrea in quei tempi - venivano usate come segno di omaggio e lanciate garbatamente prima e con maggior accanimento poi, durante il corso di gala delle vetture (carrozze inghirlandate), dei carri allegorici delle maschere.

Dal manifesto del Carnevale del 1854 apprendiamo che il Generale Panietti ordina che «per il buon andamento della festa negli ultimi tre giorni è vietato di gettare aranci od altro simile con veemenza». L’uso delle arance è ben evidente nella rappresentazione del Carnevale del 1857. A questa consuetudine taluni fanno risalire l’origine della battaglia delle arance. Nell’immagine vediamo un carro che trasporta un gruppo di ragazze eporediesi con i caratteristici costumi, sul fianco del carro un cartello: “Vietato il getto”. Il traino sembra a pariglia ed i cavalli sono condotti da un cavalcante in groppa al cavallo di sinistra.


Da questa immagine fotografica del 1924, (foto sotto), forse la più antica, ci tramanda uno dei primi carri da getto, da quì vogliamo iniziare a intuire da dove è iniziato questo percorso che ha portato alla magnificenza odierna.
Osservando l’immagine vediamo una quadriglia (tiro a quattro) con finimenti a collana e i caratteristici puntali e i “Moschèr”, accessori tipici dei finimenti da lavoro per le grandi occasioni, il “carro” è un landò con bandiere tricolore stese sui fianchi, a bordo quattro ragazzi con dei mantelli con cappuccio, il conducente non indossa protezioni e sembra a capo scoperto.


Fu solo nell’immediato secondo dopoguerra che si formarono ufficialmente le prime squadre a piedi di aranceri, e si allestirono i cosiddetti primi carri da getto e la battaglia assunse i connotati attuali seguendo regole ben precise. Con la battaglia delle arance si rievoca la rivolta popolana: il popolo ( squadre a piedi) combatte a colpi di arance contro le armate del feudatario (i carri).

1958: quest’immagine segna un primo cambiamento di ricercatezza nei finimenti dei cavalli, dai finimenti a carattere agricolo si è passati a finimenti da città all’inglese a collana ai quali sono state aggiunti alcuni accessori, campanelli e sonagli tipici dei finimenti da slitta, sulla nuca dei cavalli si notano dei piccoli pennacchi. Il carro è un “tamagnone” che porta una squadra di tiratori con casacca.

Carri da getto — A differenza degli aranceri a piedi gli aranceri sui carri indossano una divisa composta di una maschera di cuoio con grate e di un’imbottitura sul busto. Ogni Carro da getto, indipendentemente dal fatto che sia una pariglia o un tiro a quattro, prevede la presenza di un Cavallante e del Capocarro, colui che cura l’organizzazione e la gestione del carro e degli aranceri. Il cavallante non è solo un allevatore appassionato ed un abile conduttore di attacchi a due o a quattro cavalli, appartiene ad un mondo unico, tutto da scoprire, ricco di segreti tramandati da generazioni e testimoniati anche dai raffinati finimenti e dall’incedere elegante degli splendidi cavalli utilizzati per il traino dei carri da getto.

1964:
quadriglia, i cavalli portano i “Moschèr”, (dal milanese) fila di code di cavalli appiccate alle collane e alle testiere, i pennacchi si sono allungati, sul carro gli aranceri e il “cavallante” indossano casacche e caschi di protezione.

1968: i finimenti all’inglese di squisita fattura sono costruiti dalla selleria “Moirano” nella vicino Strambino, fondata nel1930 da Giuseppe Moirano, i cavalli portano i mantelletti sotto i sellini, pennacchi colorati e si notano le criniere intrecciate con la raffia naturale.

1975: Domenico Moia, un’icona del Carnevale, la sua prima partecipazione con il carro nel 1957, qui alla guida di una pariglia di cavalli ungheresi grigi. “Erano altri cavalli una volta, lavoravano tutta la settimana in campagna, bastava la voce e andavano da soli, poi ai Carnevali si riposavano e noi ci si divertiva…”

2023: La tipologia di finimenti dei carri da getto hanno ormai preso una ben definita tendenza, finimento in cuoio all’inglese con collana, pennacchiera sulla nuca e sul sellino, campanelli e sonagli metallici a bubbolo da slitta, code e criniere intrecciate e arricchite da nastri colorati e raffia.

Un mix che effettivamente potrebbe esulare dalla “Tradizione pura” della quale siamo abituati a rispettarne i canoni, potremmo dire: è carnevale e tutto vale! Una risposta che lascia insoddisfatti e dubbiosi stimolando una ricerca in merito.


Troviamo un aneddoto in:      Usi e costumi d’Italia 1857.

“Fra gli spettacoli de’nostri tempi debbonsi annoverare le mascherate nel carnevale, che oggidì però vanno sempre diminuendo in ogni città. Celebri erano nel passato quello di Roma, di Venezia e di Milano. Quasi un’ora dopo mezzodì si suona in Roma la campana del Campidoglio, ed è allora permesso a chicchesia di uscire per le vie mascherato: queste maschere s’incamminano per lo più al corso: le carrozze sono comunemente tirate da due cavalli, molte da quattro ed alcune da sei; sono tutti ornati di nastri e sonagli, e formano nel corso due file, una delle quali va e l’altra ritorna; i cocchieri sono mascherati, e gli staffieri sono per lo più vestiti da Arlecchino o da Pulcinella. La mascherata più comune si è quella del Pulcinella; e si vede bene spesso un signore mascherato di questa foggia colla sua moglie al lato, vestita da pastorella, che riceve i confetti che le sono gittati dalle loggie, e che anch’essa ne getta da un canestrino che tiene nelle mani; e lo stesso fanno le altre maschere nell’incontrarsi tra loro”.

Una descrizione redatta nel 1857 di quanto possiamo vedere invariato oggi giorno nell’anno 2023 al Carnevale di Ivrea, possiamo dunque affermare che è una tradizione carnevalesca che nel corso degli anni è ritornata al suo massimo splendore come era stata nel passato.


Ritroviamo un altro aneddoto in: La Gazzetta della Repubblica 1884

“A Carnovale tra i nobili proprietari era gara a chi esibiva il barbaro (cavallo) coi finimenti più lussuosi ed eleganti, la pennacchiera più colorata e sgargiante, in un trionfo di cuoi pregiati, piume, corone, rosette, “càpoli” (fiocchi), “cendaline” (nastri), fregi d’oro e placche d’argento con l’arma, lo stemma gentilizio del proprietario”.

Una seconda conferma di quest’usanza di addobbare i cavalli, in particolare con questa pennacchiera.

Ritroviamo una descrizione dal: Vocabolario della lingua Italiana 1875

“Pennacchiera: mazzo di penne di diversi colori, che si mette sul capo ai cavalli da carrozza di gran personaggi, in occasioni solenni: "Quattro carrozze a sei cavalli, e quella del Re aveva i cavalli con bella pennacchiera, formata ognuna da sedici piume di bianco struzzo”.

La conferma ci è stata data in occasione della mostra delle Berline Reali al Palazzo di Venaria dove è stato esposto il finimento reale del tiro a sei con i cavalli che portano le “Pennacchiere”.




Possiamo quindi affermare che gli equipaggi per quanto riguarda cavalli, finimenti e guarnizioni, che vediamo sfilare durante i giorni del Carnevale, siano in perfetta coerenza con quanto avveniva nel 1850, che forse, inconsciamente i “Cavallanti” del Canavese nel corso degli ultimi cinquant’anni hanno saputo riportare in auge questo lato sconosciuto di una tradizione carnevalesca nella pienezza del suo splendore, grazie anche agli splendidi finimenti costruiti dalla prestigiosa "Selleria Moirano".


Un evento unico al mondo che ricrea i fasti del Carnovale dell'ottocento.

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