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Conte Tommaso Leonetti di Santo Janni
Napoli ottocentesca.
Un ricordo, tratto dal testo redatto per il discorso d’inaugurazione al pubblico del Museo Pignatelli, anno 1975. Riproponendoci uno spaccato di vita della Napoli benestante, con i suoi ritmi, abitudini, corteggi e carrozze. Dandoci una visione molto chiara di un mondo oggi scomparso.
Un “Museo delle carrozze” non è forse una contraddizione in termini? Non è forse il Museo qualche cosa che dà implicitamente il senso della staticità, dell’immobilismo, con le sue vetrine piene di oggetti allineati, con i quadri alle pareti, le statue sui piedistalli, mentre la carrozza è “ruota”, quindi movimento, dinamismo? E con la carrozza l’immaginazione non va subito a focosi puro-
C’era una volta… sì, c’era una volta, come nelle favole, un’epoca romantica, dove tutto appariva sereno, un mondo nel quale, come lo descrive il carissimo indimenticabile Salvatore Castemola in “Apud Neapolim”: “La società aveva altre basi, altri caratteri, ed altre necessità di quelle di adesso. Non si bruciavano le tappe. La vita andava meno in fretta… la vita si centellinava come un vecchio cognac…” ed è appunto in questo mondo definitivamente scomparso che io vorrei tentare di condurvi, nella Napoli del passato, sulle ali della fantasia, in una vecchia atmosfera gozzoniana… voi verrete con me, tutti in carrozza; io vi precederò alla guida di una pariglia di sauri “codimozza”. Andremo insieme alle corse al Campo o alla passeggiata nella sfilata delle carrozze, tra i “Phaeton” ed i “Landau”, tra le “Charette” ed i “Tilbury”, tra le familiari “Vittorie” ed i riservati “Coupè” foderati di seta “capitonnée” nell’interno dei quali c’era sempre un piccolo portafiori di argento e cristallo in cui non mancava mai un mazzolino di odorose violette…
Alla guida delle carrozze un cocchiere “stilé” con tuba e coccarda dai colori araldici della famiglia, in “redingote bleu”, pantaloni a sbuffo bianchi e stivali neri con risvolti gialli: oppure austeri gentiluomini in bombetta o tuba grigia. A bordo leggiadre dame e delicate damigelle che, particolarmente alle Corsa al Campo di Marte, nelle loro eleganti “toilettes” con boa ed “aigrettes” (ciuffo di piume sul cappello) paradiso lanciavano la moda. Allora la “mannequin” non esisteva. Tutte “toilettes” che con meticolosa puntualità venivano descritte il mattino seguente da Matilde Serao sui “Mosconi”, del suo giornale “Il Giorno”: …” a bordo sono dame e damigelle: sono la Duchessa Carolina Riario Sforza con grande cappello colore ciclamino e leggera veletta a tinta, la Contessa Romanazzi Saluzzo con cappello e manicotto di visone, la Marchesa Filiasi Cellamare elegantissima in nero, Laura e Maria Gaetani di Roccamandolfi in lana scozzese azzurra e verde, la Principessa di Gerace in lanetta bleu e cappellino a nodi bleu e rosa, donna Maria de Sanna tutta in bianco con ampio cappello di merletto nero e, tra tutte spiccava l’elegantissima figura della Duchessa d’Aosta con ampio cappello nero a larghe falde e stola di visone”.
Alle corse interveniva tutta Napoli perché queste non erano solamente una manifestazione mondana, ma altamente sportiva, in quanto Napoli fu all’avanguardia nello sport ippico. Infatti nel 1857 nella verde conca di Agnano, ad iniziativa del Conte d’Aquila, fratello di Ferdinando II, sorse il primo Ippodromo d’Italia per le corse al galoppo. Ed è in quella stessa conca, esattamente 80 anni dopo, che con un gruppo di amici costruimmo l’attuale Ippodromo, realizzando il sogno per una vita intera vagheggiato dal caro amico scomparso Raffaele Ruggiero. Successivamente le corse si spostarono al Campo di Marte, l’attuale campo di Capodichino, dove oggi rullano per le vie del cielo i potenti caravel Jet: campo che fu teatro di clamorose memorande vittorie di due “gentelmen” napoletani, Mario Caracciolo di Castagneto ed il giovanissimo debuttante Marcello Orilia in sella al suo favoloso “Drumroe”.
Uscendo dal cancello di Villa Pignatelli e girando a sinistra, quasi a ricevere il nostro doveroso omaggio, vediamo dietro le vetrate dell’attiguo palazzo Ruffo-
In Piazza S. Ferdinando nello spazio riservato al caffè Gambrinus, teatro di avvenimenti storici, culturali e politici, sono gli “habitués”, gli assidui frequentatori di questo famoso locale, noto in Italia come il Florian di Venezia, il Pedrocchi di Padova o il caffè Greco di Roma. Costoro al passaggio delle carrozze scambiavano con noi saluti e sorrisi alle nostre meravigliose dame. Sono poeti e scrittori: da Gabriele d’Annunzio che una sera scrive di getto con la matita sul tavolo di marmo le parole della sua famosa canzone “A Vucchella”, che poi musicata da paolo Tosti fu dedicata al comune amico Peppino Serignano. Sono giornalisti e musicisti da Eduardo Scarfoglio a Mario Giobbe, a Federico Verdinois, da Martucci a Cilea. Sono principi del Foro da Gennaro Marciano ad Enrico de Nicola, da Carlo Fiorante a Giovanni Porzio, a Riccardo Wonwiller. Sono pittori e scultori da Gabriele a Magliaro, da Dalbono a de Sanctis.
Ma… riprendiamo la nostra passeggiata. Oggi è domenica e tutti gli sguardi degli amici del Gambrinus sono rivolti ai nostri equipaggi che ritornano dalle corse al Campo. Ecco l’attacco del Principe di Moliterno, il bel Gino, colto, brillante “causeur” : una “Deaumont”, cioè una carrozza trainata da quattro cavalli, senza cocchiere, ma guidata da due postiglioni, parrucca bianca, codino alla nuca, fiocchetto nero e “cap” in testa, fieramente in sella ai due cavalli di sinistra. Segue la “Spiga” del Conte d’Alfie, una pariglia di sauri non affiancati, ma allineati uno dietro l’altro, liberi, senza stanghe, guida difficilissima per la quale occorrevano cavalli addestrati e mano sicura perché se il cavallo di “volata”, cioè quello davanti, si metteva di traverso, erano guai!
Scendendo da Toledo, proseguendo tutti per Piazza del Plebiscito, per la discesa del Gigante, l’attuale via Cesario Console, tranne uno: il superbo “Mail-
Seguendo sempre il “Mail-
Implacabili giudici, allineati sulla più severa delle tribune, commentavano gli attacchi, e guai!, se un pettorale o la collana di un cavallo non erano al punto giusto, perché per loro “attaccare” era un’arte, una scienza, ed al Circolo si intavolavano discussioni senza fine, magari per un dettaglio, per una fibbia o uno staffile. Le discussioni continuavano poi nel piccolo salottino che ogni rimessa aveva all’ingresso, salottino arredato da un canapè di vimini, quattro poltrone ed un tavolino, dove i “patiti” si riunivano il pomeriggio a conversare e a discutere non solo sui pregi di un cavallo acquistato all’ultima asta di Ascot, quanto sul particolare sbagliato di un attacco, o di una pariglia dalla cadenza disuguale, o sulla bellezza dell’ultimo finimento eseguito dal famoso “guarnamentaro” Pasquale Mignola, che aveva bottega in via dei Carrozzieri alle spalle di Palazzo Gravina, l’attuale Facoltà di Architettura. Un attacco sbagliato era decisamente un punto di squalifica per il proprietario.
Ma chi non aveva carrozze?... andava in carrozzella!