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Tannaggio. Riprendiamo con la seconda fase della concia dei cuoji con il trattamento del Tannaggio che conferisce alla pelle alcune qualità molto importanti prima della concia vera e propria. Le fonti più ricche di tannini sono le cortecce di piante come quercia, castagno, abete, acacia; utilizzato nella concia delle pelli.
Tutte le sostanze vegetabili astringenti, siccome le scorze di quercia e di salcio, la noce di galla, ecc. (presso di noi anche le foglie di mirto e di bosso) fatte macerare nell’acqua fredda, oppure calda, costituiscono un astringentissimo infuso, dal quale per evaporazione si ottiene una sostanza grigia denominata tannino, o concino. Quando in queste infusioni si immerge la pelle, già preparata in suddetto modo, essa attirando il concino, cambia le sue proprietà, diviene più pesante, acquista solidità di tessitura, non è più soggetta alla putrefazione, ed è meno ancora permeabile dall’acqua. Tutte le materie vegetabili, contenenti il principio stittico, sono adatte al tannaggio; ma la scorza di quercia, che ne è fornita in più gran dovizia, ed è inoltre la più comune, si trova generalmente usata in Inghilterra.
Si svelle la corteccia del tronco abbattuto in primavera, e si racchiude in sacchi, i quali si devono proteggere dalla pioggia, ed esposti all’aria. Così disseccata si riduce in polvere grossolana col mulino e mischiata all’acqua dentro i fossi; indi viene preparata l’infusione denominata pantano, il quale contiene benanche le altre sostanze solubili della corteccia. Da che hanno avuto le necessarie preparazioni, s’introducono in quei fossi, in dove vi sarà una debole soluzione di corteccia, e vi si lasciano macerare per qualche settimana, con l’attenzione di smuoverle frequentemente. Si accrescerà a gradi a gradi la soluzione del tannino, e quindi si trasporteranno le pelli, avendo già ottenuta una mezza concia in altri fossi, ove ciò sia giudicato espediente. Si disporranno in strati alternativi colla scorza di quercia, fino a riempirli; e ricoperti infine di ben copioso strato della scorza medesima, s’innaffieranno con la prima soluzione. In somigliante guisa le pelli rimangono esposte alla piena attività della soluzione saturata di tannino, badando di aggiungervi ancora porzioni di questa, a misura dell’assorbimento che ne fanno sino al perfetto termine dell’operazione.
Esso potrà riconoscersi dal cangiamento di colore della pelle, che interiormente rassembra come la venatura della noce moscata; se il processo non è ancora compiuto, si vede una lista bianca nella loro spessezza. Quindi conciata la pelle si ritira, e lasciatala sgocciolare, si colloca sopra un masso di legno convesso su di cui si batte con ferro, e talvolta per renderla più solida, si fa passare a traverso due cilindri di ferro. Si colloca infine sotto una tettoia, i cui lati permettano libera circolazione d’aria, e dove si lascerà fino a che essa diverrà perfettamente asciutta. Il tempo della conversione delle pelli in cuojo, varia a seconda della loro natura, ed a norma dell’intenzione del fabbricante. Quelle dei vitelli ordinari sono abbastanza conciate, quando rimangono sottoposte al processo da due in quattro mesi, ma le densi pelli da cui si costruisce la così detta suola, non possono tenersi compiute che dopo quindici o diciotto mesi, ed in taluni casi anche venti. Ora è conosciuto, che il cuojo non guadagna solamente di peso, mediante prolungato contatto col tannino, ma eziandio in qualità.
Conciatura.
Siccome la flessibilità del cuojo non poco diminuisce durante il tannaggio, si cerca di restituire tale caratteristica, onde essa possa essere applicata ai bisogni comuni; ciò si ottiene appunto con la concia. Dacché le pelli siano state preparate, siccome nel processo di quelle dei vitelli, destinate a formare la tomaia per le scarpe, si tagliano dall’inizio le parti della faccia, dei fianchi e della coda; quindi si fanno rammollire un poco immergendole nell’acqua, ed usando qualche espediente meccanico. Successivamente viene situata la pelle umida sul cavalletto, con la superfice interna al di fuori, con l’aiuto di un coltello si riduce uniformemente lo spessore.
La vignetta rappresenta l’interno di una Bottega di questa sorte di Artefici, e molte operazioni di quest’Arte.
Fig.1. Artefice, che calca sul graticcio. Fig. 2. scarnatore, che col coltello da rovescio leva il superfluo della carne, che può essere rimasta dal lavoro del Cuojajo. Fig. 3. Operajo, che stende la pelle passandovi sopra fortemente la sgussa, o lo stiratojo. Fig 4. Operajo che rompe, o scavezza colla stregghia, o scaramella. Fig 5. Operajo, che raspa coll’occhiale, o sia lunetta. Fig.6. Operajo, che calca colla bicornia.
Terminata questa operazione la si tuffa nuovamente nell’acqua, la si lava bene e la si stende sopra tavole di pietra, sulla quale si lavora passandovi una pietra quadrata fissata con un manico, la si spazza con una scopetta per pulirla da una sostanza bianca denominata fioritura , che spunta sul cuojo conciato per mezzo della scorza. Distendendo la pelle, scompaiono le piegature naturali del tessuto, fino ad ottenere completamente questo effetto, in caso si passa e ripassa più volte. Quindi si trasporta in altro luogo per sottometterla all’ingrassamento, operazione che consiste nell’applicare un miscuglio di olio di pesce e sevo, a tutte e due le superfici del cuojo, ma specialmente all’interna. Se la pelle n’è debolmente fornita, riesce molto meno durevole; intanto può peccare in eccesso, che altera il colore del tessuto. In seguito si fa seccare, prima di sottoporla ad una seconda operazione, nella quale si usa strisciarla con una tavola rozza onde la faccia interna resti a pieno levigata e pulita. Per annerirla si impiega un miscuglio di olio, di nero di fumo e di sevo, che con una scopetta grossolana si applica sulla faccia interna, mentre la faccia esterna, ossia quella delle fibre, è trattata con una soluzione di copporosa verde.