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Della BRIGLIA
Scuola di cavalleria;
Antonio Locatelli 1825
Le prime briglie, che si sono adoperate, erano un pezzo semplice di legno o di ferro rotondato, che si metteva nella bocca di un cavallo senza asta, né barbazzale, e se le attaccavano delle coreggie alle due estremità di quel freno. Vi si aggiunsero in seguito delle aste che se le attaccarono in luogo delle coreggie, e vi si posero delle specie di redini al basso di ciacun’asta. Ma come si conobbe che questo istromento non faceva tuttavia il voluto effetto, si è finalmente inventato il barbazzale, e con questo mezzo la briglia agì sopra le barre, e sopra la barbozza egualmente col soccorso delle redini che fanno agire al tempo stesso ed il morso ed il barbazzale.
La maggior parte degli antichi cavallerizzi credendo che tutta l’obbeddienza che si poteva ottenere da un cavallo, dipendesse dalla maniera in cui fosse formata la briglia, la composero di una moltitudine di pezzi tanto fissi che mobili, i cui strani effetti cagionati da morsi molesti uniti ad un barbazzale troppo corto, obbligavano il cavallo a forzare la mano del cavaliere sino ad impennarsi ed a correre disordinatamente, non badando, anzi ricusando ogni freno per modo, che questa grande soggezione lo spingeva alla disperazione anziché renderlo obbediente.
E di vero dopo l’epoca de’ primi freni troppo semplici, ed insufficienti ad assoggettare il cavallo, è venuta quella in cui pretendevasi di castigare e porre sulle anche i cavalli col mezzo di briglie gagliarde, il perché gli antichi con assai artificioso studio fecero eseguire, sotto forme di briglie, i più strani ed enormi disegni, dalla quale pratica ne emersero altri danni, e più gravi certamente di quelli che incontravansi cogli originari freni. E basta aver veduto gli arsenali di Venezia, di Napoli, di Torino, di Parigi, di Londra ed altri simili depositi di antica armeria, oppure osservare le tavole, incise ed inserite nelle opere di cavalleria del Faschi, del Grisone e dei Ferrari, onde convincersi che con tali briglie si cagionava offesa alla bocca, anzi che giustezza.
Nel principio del secolo XVI, il Fiaschi fu il primo dei nobili cavallerizzi a persuadersi che faceva d’uopo studiare assai l’indole del cavallo per saperlo imbrigliare, siccome appunto dall’imbrigliare bene o male dipendeva il guadagnarlo o perderlo. Nel secolo XVII i Ferrari ricordano, che i moderni del loro tempo tenevano raccomandato di disciplinare prima il cavallo con appropriata dottrina, ed aiutarlo e castigarlo con meno ferro possibile, eleggendo con buon giudizio la briglia, non come ad indovinare, ma bensì a seconda dell’età diversa del cavallo, della qualità della bocca e dei suoi difetti. Questi sono i sani precetti che gli Italiani, maestri in così bella e nobilissima arte adottarono già da tanto tempo prima dei cavallerizzi delle altre nazioni.
Pignatelli, quel famoso cavallerizzo, che erasi acquistato tanta reputazione a Napoli verso la fine del sedicesimo secolo, non rimase lungo tempo in questo errore, ed inventò egli una sorte di freno composto di tre pezzi mobili, il quale rassomigliava assai al collo di un piccione ed era infinitamente più dolce di quelli di cui erasi servito fino allora, essendo stato persuaso dalla sua propria esperienza, che la briglia doveva servire piuttosto per avvertire il cavallo della volontà del cavaliere che a costringerlo. Egli quindi, diceva che se le briglie avessero per sé stesse la miracolosa proprietà di fare la bocca d’un cavallo e renderlo obbediente, il cavaliere ed il cavallo sarebbero istrutti ed abili all’uscire dalla bottega di un mercante o fabbricatore di speroni.
“Nel Rinascimento presso le corti d'Europa iniziarono a svilupparsi vere e proprie scuole d'equitazione dove operavano uno o più maestri al servizio dei cortigiani: oltre all'equitazione vi s'insegnava l'uso delle armi, la danza, la musica, la pittura e la matematica. La capostipite fu l'Accademia di Napoli, che raggiunse il massimo splendore nel XVI° secolo per opera di Giovan Battista Pignatelli, attirando allievi da tutta Europa. Il gentiluomo napoletano sorpassò tutti i suoi contemporanei nell'arte del cavalcare e dell'istruire cavalli e cavalieri e fece erigere a Napoli le prime 'cavallerizze' (maneggi). Pignatelli fu il più famoso allievo di Federico Grisone, riconosciuto dai suoi contemporanei come il padre dell'arte equestre e considerato il più antico tra gli autori di testi sull'equitazione.”
Noi dunque parleremo unicamente delle briglie che non offendono punto la bocca del cavallo, poiché il parere dei più abili cavallerizzi è confermato dall’esperienza, la quale ci prova che li morsi più semplici e più dolci, conservando la bocca d’un cavallo, bastano per ottenere l’obbedienza, che una saggia mano deve aspettarsene: che l’abilità della mano deve prevalere alla qualità della briglia, la quale non è che una causa seconda, e che le barre e la barbozza sono parti troppo tenere per soffrire, senza essere alterate o storpiate, gli effetti della briglia noi esporremo minutamente ogni parte di cui essa è composta.
Io dirò primieramente, che sebbene le parole morso, freno e briglia, secondo l’uso, sieno sinomini, a parlare però propriamente non v’ha che quella di briglia la quale sia generica, perché il morso o il freno risguarda particolarmente la parte che è nella bocca. La briglia è composta di tre parti principali, cioè il morso o sia il freno, che si pone in bocca del cavalo, l’asta che è attaccata alle due estremità del freno, ed il barbazzale che fa il suo effetto sopra la barba.
Immagini della collezione privata "Giannelli"