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Vetture per l’addestramento a solo: la Domatrice
G.C.Volpini
Le vetture più adatte per l’addestramento di un cavallo a solo, sono quelle a due ruote solide, stabili, cioè con ruote piuttosto pesanti ed allontanate fra di loro, con le stanghe sufficientemente alte, perché il cavallo, dato il caso che calci, non si abbia ad imbalzare nelle medesime. Il sedile del guidatore deve essere posto a tale altezza da poter facilmente guidare il cavallo. La più usata, fra le vetture a due ruote, è la domatrice, essa consta di due stanghe fermate a due traverse e poggianti sulla sala E, alle cui estremità stanno le due ruote. Le stanghe non poggiano direttamente sulla sala, ma sono sostenute da due molle, tenute ferme su di essa mediante staffe con bulloni ed unite alla stanghe con ferri forgiati in modo da rendere sicura l’unione. Sulla parte posteriore delle stanghe sono fissate delle molle trasversali destinate a sostenere il sedile.
Le stanghe bene spesso non sono ricurve nella parte anteriore, come si vede nella figura, ma sono diritte e portano all’estremità due pallottole appiattite, e nella parte anteriore sono imbottite di borra o crini e ricoperte di cuoio morbido. Colle stanghe diritte si ottiene lo scopo di abituare più presto e più facilmente il cavallo al contatto delle medesime, impedendogli in pari tempo che si ferisca. Per attaccare il cavallo si farà avanzare la vettura colle stanghe in alto, al di sopra del cavallo, e quindi si abbasseranno lentamente facendogli toccare i fianchi; nel caso in cui il cavallo si agitasse, le si solleveranno di nuovo, finché esso si sia calmato, ed intanto lo si accarezzerà, per poi ribassarle nella stessa maniera, e quando si vedrà tranquillo l’animale le si attaccheranno al porta stanghe, facendo avanzare la vettura, senza mai far retrocedere il cavallo, perché esso potrebbe indietreggiare vivamente ed obliquamente ed urtare contro la vettura, spaventarsi e ferirsi. Si affibbierà quindi il sottopancia, e successivamente si fermeranno le tirelle, e le correggie che tengono ferma la bardatura alle stanghe, e se necessario, si metterà la correggia per impedire di calciare.
Una avvertenza di capitale importanza, sia nell’addestramento del cavallo a solo, sia in quello della pariglia, è di attaccarlo in modo che abbia liberi i suoi movimenti, e non sia attaccato troppo corto, per modo che nelle fermate i garretti urtino contro la bilancia, la qual cosa potrebbe dar luogo a gravi inconvenienti, per lo spavento ed il dolore che ne risentirebbe. Se invece le tirelle e il reggi-
Quando il cavallo partisse spiccando un salto in avanti, o pigliasse subito il galoppo od il trotto serrato, non si dovrà cercare di trattenerlo colle redini, ma si asseconderà il suo movimento procurando di calmarlo colla voce, e di dirigerlo il meglio che sarà possibile. Dopo pochi passi, è assai probabile che esso si tranquillizzi e prenda un’andatura regolare; dopo qualche tempo lo si obbligherà quindi a ripartire ed a smuovere di nuovo la vettura. Gradatamente il guidatore, che per le prime lezioni avrà tenute le redini piuttosto allentate, le accorcerà in modo da sentire un leggero appoggio sulla bocca del cavallo.
Dopo queste istruzioni del Volpini nasce una domanda spontanea, se era stata costruita la domatrice, legno apposito come dice la parola stessa per addestrare i cavalli al tiro, qual era il finimento utilizzato? Esisteva qualcosa di specifico o veniva usato un finimento normale? Su questo punto non abbiamo trovato informazioni al riguardo nei vari testi “sacri” degli attacchi in tradizione, occorreva perciò andare alla ricerca di qualche indizio che ci potesse aiutare. In occasione della visita al Museo delle carrozze a Villa Pignatelli – Napoli, abbiamo notato un sellino molto particolare, con quattro anelli passa redini posti a diverse altezze più due anelli aperti. A prima vista si suppose per un sellino da tandem; quattro anelli quattro redini; mancavano però i bracciali portastanghe e rimanevano gli altri due anelli aperti a confondere le ipotesi. Alcuni suggerirono che fosse un sellino per il lavoro a terra a redini lunghe, ma anche questa ipotesi non era convincente, sebbene dobbiamo ricordare che fu grazie all’opera di Giovambattista Pignatelli che si diede vita alla nascita della prima Scuola Classica equestre che Napoli divenne punto internazionale d’eccellenza. Da dove gli stessi cavallerizzi napoletani partivano per insegnare l’arte equestre in tutte le corti d’Europa, Vienna compresa.
Abbiamo ormai appreso che nei tempi passati tutto aveva un senso in un rapporto ad uno specifico scopo di utilizzo, ma in questo caso non si riusciva a trovare la combinazione giusta. Frutto di una sapiente lavorazione artigianale, dove il mastro sellaio vi aveva intriso tutta la sua bravura nella creazione di questa minuscola selletta dalle linee rondeggianti che si uniscono in un abbraccio al cielo. Congiunto ad un monogramma importante “MCB” sormontato da una corona a cinque foglie, forse ad indicare quel Marino Carafa principe di Belvedere, vissuto a Napoli nel 1764 – al 1830 figlio di Carlo Carafa, V° principe di Belvedere e Maria Giulia Caracciolo. Ma la storia si è persa nei tempi e nessun più ricorda di questi fasti.
Ormai ci siamo messi in cammino e la nostra ricerca in qualche stallazzo deve attraccare, dopo numerosi contatti con amici ed appassionati, siamo riusciti a trovare la persona giusta; il Cav. Alfredo De Paoli, ultimo discendente dell’omonima Ditta di noleggio carrozze e trasporti Angelo De Paoli Pavia. Alfredo De Paoli è un collezionista di cimeli equestri raccolti in una vita che solo eccezionalmente vengono esposti al pubblico nella sua cascina ottocentesca, Villa Alfredo, la sua è una collezione privata, «Cominciò il bisnonno Angelo -
Insieme alle carrozze abbondano timoni, stanghe e fanali, oltre a un simulatore di guida per attacchi. Non mancano cappelli, tricorni e parrucche che cocchieri e lacchè indossavano a seconda delle necessità e numerose splendide livree corredate dai relativi guanti e fruste utilizzate. Si possono ammirare gli attrezzi da sellaio e da maniscalco fino agli strumenti per la chirurgia veterinaria. Una collezione completa dove sicuramente troveremo la soluzione del nostro quesito. Da splendidi finimenti lucidati tutti i giorni, a selle, varie imboccature (morsi), fino ai ferri da cavallo correttivi. E che dire dei quadri, stampe e foto che riguardano cavalli e carrozze? Il percorso è lungo, Alfredo si prodiga ad illustrarci ogni particolare, per arrivare infine a mostrarci con orgoglio quanto gli avevamo chiesto; un sellino completo per finimento da Domatrice.
Effettivamente la tipologia della ferramenta è uguale, quattro anelli passaredini che a detta di Alfredo venivano utilizzati a seconda di come si voleva far portare, o come portava, l’incollatura il cavallo in doma, la scelta spettava al giudizio del capo cocchiere incaricato. Mentre nei due anelli aperti passa la correggia portastanghe, la quale era montata sulle stanghe che, come dice il Volpini: "Per attaccare il cavallo si farà avanzare la vettura colle stanghe in alto, al di sopra del cavallo, e quindi si abbasseranno lentamente facendogli toccare i fianchi; nel caso in cui il cavallo si agitasse, le si solleveranno di nuovo, finché esso si sia calmato, ed intanto lo si accarezzerà, per poi ribassarle nella stessa maniera". Con questo sistema il sellino veniva affibbiato al sottopancia fisso, mentre la correggia portastanghe, dopo essere stata inserita nei due anelli aperti, veniva affibbiata al sottopancia mobile sui due lati esterni.
Questo sistema permetteva in caso di pericolo o di irrequietezza del cavallo, un rapido sgancio della domatrice da parte dei due aiutanti a piedi che seguivano il capo cocchiere nelle varie fasi di addestramento. Anche il pettorale era irrobustito nelle sue varie parti, per assolvere agli strappi dei soggetti più focosi. Tutto era studiato in funzione della sicurezza onde evitare possibili incidenti, che avrebbero in seguito, reso il cavallo inadatto al tiro. Veramente curioso l’aver trovato la stessa tipologia di finimento, l’uno a Napoli, l’altro a Pavia a mille chilometri di distanza, del primo sarebbe interessante poter recuperare i pezzi mancanti, del secondo approfondirne la conoscenza per riportarlo all’uso quotidiano.
Un altro sellino simile l’abbiamo trovato in Friuli, e precisamente a Gorizia dall’amico Bruno Cotic, il quale l’aveva acquistato anni fa da un contadino. Anche in questo caso abbiamo i due anelli superiori aperti (nell’immagine sono quasi chiusi, perché schiacciati antecedentemente non conoscendone la funzione principale di utilizzo); gli anelli passaredini sono cuciti lateralmente ma abbiamo sempre il doppio sottopancia, uno fisso e l’altro mobile. Forse di fattura meno ricercata ma sempre in funzione di un particolare uso e soprattutto di sicurezza. Con questo crediamo di aver risolto un quesito su questo particolare sellino ormai scomparso dalle nostre scuderie, vogliamo ringraziare il Cav. Alfredo De Paoli per il suo prezioso contributo nella nostra ricerca, ricordando che chi avesse dubbi o volesse ampliare la propria conoscenza sul mondo delle redini lunghe, Alfredo è sempre ben disposto a consigliare. Ringraziamo anche l’amico Bruno Cotic per averci fornito le immagini del sellino di sua proprietà, sempre nella speranza di aver accresciuto il nostro e il vostro sapere sull’universo degli attacchi.